Della venuta di padre Pio a Rignano e del suo rapporto particolare con Don Pietro Ricci se ne parla chiaramente in una delle lettere indirizzate a quest’ultimo. Precisamente in quella dell’11 maggio 1917. In essa ad un certo punto c’è scritto testualmente: “Ieri sera al mio ritorno da costì mi giunse un telegramma del p. provinciale che mi notificava che il reverendissimo padre generalemi accordava l’ubbidienza per accompagnare la sorella aRoma. Immaginatevi il mio contento. Veramente questo giorno fu una continua indigestione di consolazione. Viva Gesù!".
La presenza di San Pio a Rignano Garganico, testimoniata dall’anzidetta corrispondenza, è stata sin dalla sua riscoperta un evento assai avvertito non solo dai devoti ma dall’intera popolazione. La ripubblicazione a sé stante di siffatte lettere nel libro “Padre Pio e Rignano nelle lettere a don Pietro Ricci”, di cui sono autore assieme a mio figlio Angelo, forse non tutte, unitamente ad alcuni fatti miracolosi che hanno interessato direttamente ed indirettamente cittadini del luogo, ci riempie di gioia e nel contempo di orgoglio, consapevoli che Padre Pio in vita non amava solo ricevere i devoti in Convento, ossia a quello di Santa Maria delle Grazie in San Giovanni Rotondo, ma spesso era Lui – Convento a spostarsi con umiltà nei luoghi prescelti dalla Divina Provvidenza, bisognosi di cura ed interventi spirituali, per visitare ed avere contatto diretto con la gente. Nelle lettere non c’è scritto, ma si suppone come da testimonianze di storia orale che il Santo sia venuto più volte a Rignano a cavallo di un asinello, per dare conforto alla popolazione e alla famiglia Ricci, ospite gradita del suo peregrinare. Bene ha fatto, il compianto don Pasquale Granatiero a ricordare nella lapide, posta sul portale della casa padronale di Via Gioielli n. 23, dove qui non solo avrebbe soggiornato, ospite dei predetti Ricci, ma avrebbe visitato le loro masserie site nella sottostante pianura.
Chi è Don Pietro Ricci, interlocutore privilegiato di San Pio?
Don Pietro, al secolo Pietro Paolo, nasce a Rignano Garganico il 25 Aprile 1847 dai coniugi Giuseppe e Vincenza Piccirilli, appartenenti entrambi a famiglie benestanti del luogo. Registrata la nascita allo Stato Civile (sindaco pro-tempore Saverio De Maio), il giorno successivo viene battezzato da don Antonio Ricci nella chiesa parrocchiale di Maria SS. Assunta, retta sin dal 1820 dall’arciprete don Francesco Villanie, a partire dal 1854, dallo stesso Ricci, in veste di Curato Vicario.
Nulla si sa della sua infanzia e dell’adolescenza, sicuramente molto curata dal punto di vista formativo: studi elementari e medi ad opera del solito prete maestro del posto e poi in seminario presso la Curia di Manfredonia e così fino all’ordinazione sacerdotale. Dopo di che il ritorno in paese e l’inizio del suo ministero.
Don Pietro, nonostante il naturale carisma e l’accurata preparazione culturale, si dimostra da subito un prete umile, fedele al suo compito…e soprattutto al suo credo, lontano mille miglia dalla carriera e dall’assunzione di responsabilità temporali. Tant’è che nel libro Rignano Garganico di Padre Doroteo Forte, egli è definito “pacifico”, a significare la sua indole bonaria e ben disposta verso il prossimo. Né si riscontrano notizie di rilievo sul suo conto. Da qui il suo ruolo di prete ‘in casa’, attento sì alle cure spirituali e materiali dei suoi familiari, ma anche e soprattutto a quelle del prossimo, verso il quale si mostra , fuori e dentro il confessionale, sempre pronto a comprendere e a dispensare consigli a tutti coloro che a lui fanno ricorso.
Il prete buono
La sua fama di prete “buono” si diffonde presto nell’intero circondario, tanto da attirare l’attenzione e la considerazione di un giovane ed irrequieto frate Cappuccino: Padre Pio da Pietrelcina, residente ed operante fin dai primi del 1916 presso il Convento Santa Maria delle Grazie in San Giovanni Rotondo. Nei primi tempi, quando le forze sono integre, è Don Pietro a frequentare il Convento dei Cappuccini, del quale diviene presto un importante punto di riferimento. Ci va spesso con i familiari, per pregare e portare qualche dono ai frati, a quei tempi assai poveri. Ed è in tali occasioni che ha modo di incontrare Padre Pio e suscitare in lui una particolare attrazione, forse dovuta alla sua ormai matura esperienza di vita sacerdotale. Il rapporto di corrispondenza ed amicizia, tuttavia, si sviluppa e s’intensifica quando Don Pietro ormai ha compiuto i settant’anni, un’età considerata piuttosto avanzata per quei tempi, soprattutto se minata da acciacchi e malattie varie. Per questo alle visite, il prete rignanese sostituisce la corrispondenza scritta, pur di mantenere intatto il suo rapporto di amicizia con i frati e lo stesso San Pio.
La corrispondenza
La corrispondenza, come le regalie, di solito viene recapitate a mano, mediante il frate questuante che di tanto in tanto si affaccia in paese o tramite qualche conoscente. Le lettere reperite, a firma di Padre Pio e indirizzate a Don Pietro, sono trentuno, tutte pubblicate e contenute nell’Epistolario IV. A queste se ne aggiungono altre due, inedite ed autografe, recapitatemi dai famigliari, di cui una indirizzata alla nipote acquisita Lucia Martucci, datata 30 dicembre 1920, qualche settimana dopo la morte del sacerdote. . La corrispondenza si svolge nel periodo 1916 – 1919.
Tra l’altro, nella prima missiva, datata 10 Agosto 1916, il frate si dice ‘lietissimo’ per aver conosciuto gli “ambiti e preziosi caratteri” del sacerdote. Quindi, comunica di fargli pervenire “a mezzo del porgitore” alcune “medagline e figurine”.
Nello scritto successivo del 2 novembre il futuro santo, dopo aver assicurato di fare continua memoria di lui e di tutte le persone a lui care, ringrazia per avergli inviato dei fazzoletti, unitamente alla “miracolosa acqua della bella Vergine di Lourdes”.
In quella del 7 gennaio del 1917, il frate lo invita a tornare al Convento, approfittando di qualche bella giornata, perché lì tutti ricordano Don Pietro con affetto. Seguono nel corso del medesimo anno una serie di scritti: il 6 marzo “confida” a Don Pietro la sua “mortale malattia”; il 22 aprile, chiede il rinvio della “gita” a Rignano; l’11 maggio accenna, come si diceva all’inizio, alla sua visita compiuta il giorno prima in paese, ringraziando “per l’ospitalità e gentilezza” usate verso la sua persona sia dal sacerdote che dalla sua “ottima famiglia”, estendendone il saluto nominale al nipote Pietro (figlio del fratello Pasquale, 1849 / 1911, sindaco del paese nel biennio 1878-1879), alla di lui signora Lucia Martucci(1881-1960), nonché il “bacio” ai bambini (figli di Don Pietro).
Sicuramente le Epistole a Don Pietro Ricci di Rignano Garganico costituiscono una fonte assai importante per la comprensione della vita e della spiritualità del giovane San Pio. Non di meno l’aspetto contenutistico, fatto di episodi inediti e poco conosciuti dal grosso pubblico. E questo lo si deve al numero, all’intensità, al carattere e tono intimistico delle lettere, che dimostrano in concreto la piena compenetrazione della ‘spiritualità’ dell’uno e dell’altro interlocutore. Tra i due corre una simpatia e sintonia straordinaria, in termini di intenti e di sentimenti. Infatti, non a caso entrambi sono fermamente convinti della bontà della preghiera, come metodo e veicolo infallibile di comunicazione tra terra e cielo, tra l’umanità sofferente e la Divina Provvidenza, risolutrice di ogni problema sia materiale che spirituale. Talvolta in esse si colgono accenti di alta spiritualità. Lo è allorché si scambiano i ruoli di consiglieri e di confessori.
Anche sul piano prettamente formale la scrittura delle lettere varia nel linguaggio e nel tono man mano che il rapporto si intensifica e si fa più stretto sul piano affettivo e confidenziale. Si tratta di un continuo crescente, a quanto si nota già all’inizio. Si passa, infatti, dal rispettoso “reverendissimo signore” della prima missiva, allo “stimatissimo” di quelle seguenti e al “carissimo don Pietro” dal 6 marzo del 1917 in poi fino all’ultima missiva non datata che segue quella del 3 maggio 1919. Il ‘crescente’ si osserva anche nei saluti finali : “con profonda stima e riverenza”; “saluto e bacio la mano”; “saluti e un fraterno abbraccio”; “ un abbraccio e bacio”; e così via. Altrettanto accade nel pre - firma. Si va, infatti, dal “dev.mo servo” all’ “umile servo” delle prime lettere e poi sempre “aff.mo vostro amico” (sostantivo talvolta sottinteso). La forma varia e incide anche per ciò che concerne l’estensione dei saluti e delle preghiere: ai “conoscenti” e alle “persone presentate” citati ab inizio.
E, quando ormai il rapporto è solido, alla “spettabile vostra famiglia” e “stimata e stimatissima” famiglia delle successive, quasi tutte concluse con l’accorato “bacio ai bambini” e saluti ai nipoti.
I bambini, anche se non li chiama mai per nome, sono:
- Teresa, di anni 4;
- Pasquale, di anni 2;
- Antonio, di un mese.
Sono i primi tre di cinque figli che i coniugi Pietro Ricci (nipote ed omonimo dello zio prete) e Lucia Martucci, avranno nel corso della loro vita matrimoniale. Sul piano contenutistico, oltre a quanto già evidenziato, si è inteso raggruppare, nel predetto libro, le lettere nei seguenti filoni tematici: Preghiere ed intercessioni.
Il concetto e la pratica della preghiera è l’arma preferita dai due religiosi per sconfiggere i mali terreni ed avvicinarsi al Divino. Si invoca la grazia per i due nipoti (Pietro e Giuseppe), che dopo tanto ottengono l’agognata riforma dal servizio militare (lettera del 14 dicembre 1917) Una preveggenza, un miracolo? Chi sa!. Si prega e si intercede per un altro nipote di Don Pietro (30 marzo 1918). Non si sa chi e per quale motivo.
Ci si ripete ancora, allorché si evidenzia una “tempesta che ruggisce sul capo di lui e della famiglia” (30 marzo 1918). Il futuro Santo suggerisce la preghiera e l’attesa. Si parla altresì dell’infermità di un altro innominato nipote (forse Antonio, 14 dicembre 1918). Anche questa volta il tutto passerà con il ricorso alla medicina “preghiera”. Si chiede aiuto per un altro nipote, richiamato in “milizia” prima e poi fatto prigioniero (lettera senza data del 1919). San Pio prega e risolve. Infine, si invoca e si ottiene la “grazia” per la nipote di Don Pietro “Suor Gerarda”, al secolo Teresa Ricci. Si tratta della futura Madre Generale delle Suore di Carità, che scampa in modo miracoloso alla famigerata epidemia, detta “la spagnuola”, mentre è impegnata ad assistere notte e giorno una moltitudine di malati, a Foggia.
La carità, fatta di doni e regali al prossimo, è una pratica cristiana assai avvertita nella famiglia Ricci. Per quanto attiene il rapporto con San Pio, di tali nobili gesti se ne parla da subito e in ogni lettera, a cominciare da quella del 10 agosto 1916, quando Padre Pio si trova ancora a Foggia. Sicuramente l’apporto in termini di regali che si dà è di gran lungo superiore a quello descritto. Ma poco se ne parla in termini di quantità e qualità delle “cose” donate. E ciò, sia per ragioni di umiltà da parte dell’offerente che di verecondia da parte dei beneficiari. Comunque sia, a quei tempi la povertà dei conventi è estrema, specie in quello di Santa Maria delle Grazie di San Giovanni Rotondo che, oltre ai Frati, ha il carico di decine e decine di collegiali. Per di più la pratica della carità verso il prossimo e i più bisognosi per Don Pietro e la sua famiglia è un precetto antico molto avvertito e praticato in ogni evenienza dai componenti.
La cartolina
Talvolta l’obolo offerto non è solo costituito da vettovaglie, ma anche da denaro. Ne cita un esempio lo stesso San Pio in una lettera scritta durante la sua permanenza all’Ospedale Militare di Napoli. Si tratta di una “cartolina vaglia” non si sa di quale valore, di certo non richiesta, ma sicuramente bene accetta dal frate, in quanto gravemente ammalato e bisognoso di costose medicine. Il beneficiario, ritenendosi in debito per “sì fiorita carità”, ringrazia vivamente il suo benefattore, ossia Don Pietro. Da ricordare ancora l’avvenuto dono – scambio dello “zucchetto”, un elemento – simbolo dell’ordine sacerdotale. E questo sta a significare di quale tempra e sentimento è l’amicizia che intercorre tra i due religiosi.
C’è di più. Si parla di “offerta”, cioè di regalia, in una lettera del 14 dicembre 1918 e in quella del 5 gennaio del 1919, allorché annuncia scherzosamente, tramite il solito latore, la restituzione di un vassoio “vuoto”!
Poi c’è il ‘chiodo’ fisso delle visite richieste e rimandate. Se ne parla in quasi tutte le lettere. Di esse, solo poche saranno effettivamente fatte per i motivi più svariati, compreso quello del voto dell’obbedienza e dei mezzi di trasporto. Ho finito, grazie per l’attenzione e la pazienza riservatami!