Giovanni D'Angelo è un giovane figlio di Rignano Garganico sterminato dai nazisti durante la II Guerra Mondiale. Oggi i suoi resti riposano in una fossa comune presso il famigerato Lager Friedhof di Dachau (Germania bavarese) giace ignoto anche il corpo di un intraprendente e coraggioso soldato rignanese. La stessa persona che, prima della guerra molti dei suoi coetanei, specie di sesso femminile, ricordavano o descrivevano di “bell'aspetto e rubacuori”.
Giovanni è nato a Rignano Garganico il 21 agosto 1913. Attivo sul fronte greco-albanese, D’Angelo fu fatto prigioniero dai tedeschi durante quei tragici e confusi giorni che seguirono all’Armistizio dell’8 settembre 1943. Tradotto in Germania, era destinato come tanti altri suoi commilitoni ai lavori di manovalanza comune (case, fabbriche, strade, ecc.) o ‘forzati’ nelle miniere di carbone o di altro genero.
Spesso la destinazione all’uno e all’altro impiego dipendeva dalla “buona stella” ossia dalla simpatia o meno dei carcerieri di turno. A Giovanni capitò il peggio, forse perché era longilineo e delicato di salute o forse perché presentava in apparenza un aspetto indipendente e scanzonato. Infatti, andò a finire nei campi di autodistruzione e sterminio, appunto Dachau.
Qui da circa due anni è sottoposto ad ogni forma di vessazione e sfruttamento. Sveglia alle quattro e poi via al lavoro fino al tramonto del sole in un vasto appezzamento di terreno, ubicato in contiguità al campo medesimo, ma senza l’oppressione delle fantomatiche torri di controllo, che vigilavano a distanza. Vi si coltivavano cipolle, patate, basilico, sedano-prezzemolo, ecc. Tutto questo serviva per sfamare migliaia e migliaia di compagni di disavventura.
La fame si faceva sentire come non mai. E fu questo uno dei primi motivi a spingere alcuni a progettare la fuga, compreso il militare rignanese. L’altro fu l’illusione - desiderio di trovare al di là del filo spinato i salvatori americani. Tale voce circolava da più giorni nel campo attraverso l’infallibile passa parola, confermata peraltro dal rombo dei loro aerei che di tanto in tanto sfrecciavano a vista nel cielo sovrastante.
Cosicché all’alba del giorno stabilito un consistente gruppo di “congiurati” all’improvviso lasciò il grosso della folla dei prigionieri diretti al lavoro e si avviò di corsa verso il recinto, pronto ad aprirsi un varco verso la libertà con le rudimentali cesoie nascoste in qualche parte degli abiti. Non fecero neppure in tempo a toccare la rete metallica che furono investiti da una fitta pioggia di proiettili sparati all’impazza dalle guardie. Fu una carneficina. I loro corpi, vivi o morti che erano, furono immediatamente trasportati e buttati nella fossa comune, scavata di recente di cui si dirà più avanti, anche perché c’era l’ordine tra le SS di far sparire ogni traccia delle loro atrocità.
È quanto di verosimile accadde nelle primissime ore del tragico 3 aprile 1943, ossia poco meno di quattro settimane dall’effettiva liberazione del campo da parte delle truppe statunitensi e dei loro alleati. Tal racconto ci è stato fatto più volte da un testimone oculare e compagno di prigionia che ora non c’è più. Ogni volta che lo faceva, gli spuntavano le lacrime agli occhi.
Il racconto addolora ancora di più anche perché, a differenza di tanti altri commilitoni, Giovanni non ha una tomba intestata a suo nome, dove poter versare una lacrima di affetto o deporvi un fiore. Ma anche perché non si sa neppure in quale fossa comune siano stati riposti i sui resti.
Infatti, abbiamo appreso al riguardo che nei primi mesi del 1945, per ordini emessi dalla dirigenza del Lager di Dachau, sono state scavate sulla vicina collina di Leitenberg ben otto fosse comuni o forse ce n’era una sola ancor prima. Di certo sappiamo che in detta zona furono seppelliti fino al momento della liberazione del campo (29 aprile), secondo alcune fonti, 4.318 prigionieri.
Furono seppelliti sempre in una fossa comune scavata nei pressi circa duemila militari tedeschi fucilati o uccisi in combattimento negli ultimi frangenti. Comunque sia, a ricordare i morti italiani senza tomba propria a Dachau c’è da alcuni decenni il Memoriale – cappella "Regina Pacis".
Testo tratto da: Antonio Del Vecchio (copertina postata in alto), Io parto non so se ritorno - Storie e Reduci della II Guerra Mondiale - Circolo Culturale "Giulio Ricci", 230 pagine, Rignano Garganico, 2014 - Seconda edizione in corso.